E loro dicono che la finestra è accesa
mentre parlano, che io non dormo.
Invece dormo, o almeno tento. Stento.
*
E mi rigiro fra le lenzuola bianche in lino,
che hanno l’odore di quelle che mia madre,
ed il colore della camicia stesa ad asciugare.
*
E mi tormenta questo nugoletto d’ossa,
questo sudore che m’imperla, nei giorni
della merla. Fa così caldo, qui, questo torpore.
*
Ma non mi sembra vero che ti vedo, che il
biondo candido della tua ciocca si fa via
per mano che si porta agli occhi. Fatti guardare.
*
Ero come un bambino, quando ho iniziato
a risalire, il fiume. E il fiume si faceva solido a ogni
passo, era un sentiero, che traversava un bosco.
*
Ero così felice quando ho lasciato a casa la
giacchetta, e mi sono messo a ricercare.
Come ci si rimette a Dio, quando ci incalza.
*
Ed era così notte, ogni mia notte, passata con
i gomiti alla tavola a studiare. A far quadrare
il cerchio, l’anello, oggi il girone dell’Inferno.
*
Ed ero già dimentico, atterrito, per tutto quel
clamore e clanghete di ossa. Per quello sterminato
campo che accoglieva il mietitore. Ma io mietevo altrove.
*
E non ho smesso mai, di mietere e cercare. Per ritornare
a te, Signore d’occhi muti alla bisogna, forse solo se sogna
ti vede il pellegrino. Ed io ti vedo. Stanotte qui stravedo.
*
Oggi ti colgo intero, oggi ti sento, oggi tu mi conosci.
Son stanco di portare addosso gli occhi. Li metto
qui da parte. Che possano sanarsi. Un dono dell’inverno.
*
Son stato immemore e gioioso, con quel tuo rosso fuoco
tutto addosso. Un re beato nel reame a dire, guardare anche
la neve che va a prendere a carezze ogni sfinire. Oggi sfinisco
*
io, e questo no, non lo so sopportare. Ma lo so dire, lo posso
riparare. Devi insegnarmi ad esserlo e pensarlo, che mi stacco.
*
Dammi la forza della foglia antica che dall’oro muove,
mettimi le babbucce, che voglio solo un pochino riposare.
(n.g. 12/2/2913)
hai questa capacità di intrusione totale nel corpo e nell’anima di chi prescegli di raccontare, hai questa comprensione dei gesti altrui, anche i più arcani, che dove tocchi fai poesia, e anche un papa che rinuncia diventa “l’avventura di un povero cristiano” ml
(questo commento mi ha profondamente commossa)
commovente, intera, piena.
tu, toccata di poesia.
ciao iole, ho riletto stamane versi tuoi, citati in Aderenza, di Antonella– come mi piace trovarti e ritrovarti–
la poesia fa anche questa gioia: confermarci l’amore!
Ma questa più che poesia ė vera musica! In alcuni tratti, sembra sconfinare in polifonia, per la moltitudine di accenti che evoca oltre il suono dei versi. Complimenti dal cuore!!!!
grazie, di cuore–
davvero intesa. bella l’idea del riparare (cercare un riparo nelle parole), nonché l’intimità umana delle babbucce e il richiamo tra “dormo, tento, stento” in incipit e il riposo in fine (a sfinire)
Ciao Malos 🙂 preso ieri Belli da morire 🙂
d’accordo con quello che hanno scritto gli altri, non posso dire di più; ma c’è una curiosità, un sentimento di pietà che mi muove verso questo bambino ‘che torna’ in qualche modo e mi riporta a quel bambino che cadeva e c’era la data della sua caduta nel titolo, il bambino cadeva fuori dal mondo e quella poesia – come questa – mi aveva turbato e commosso proondamente. Blumy
(questi versi sono del giorno dell’abdicazione di Benedetto XVI)– un bacio, Blumy