
Dirsi dei ragazzini, dirai ancora,
ed io che forse ancora, dov’ero io
sgranava gli occhi un fiore di magnolia
il gufo civettava con le lucciole sfibrate dall’aurora.
Nessuno di noi due sa più contare a mente
fino a toccare l’infinito con il gregge.
Eppure, quanta di vita ne mordiamo
quando notturni un gridolino tratteniamo.
Abbiamo un po’ paura, credo, e un po’ di orrore.
Nel vuoto ci si bagna e il pozzo non fa cerchio,
siamo il secchiello che tiene l’acqua e perde sabbia,
la traccia smemorina del più bello.
[Ma belli siamo, e solo adesso
lo sappiamo quanto]
Quanto di disincanto c’è nel canto, e l’Opera
persino ci sta stretta. Veniamo da una specie
di gavetta, dove pensare ha rattoppato male
il cuore della lupa e del maiale. Siam stati cigni,
allodole e colombe, ma Dio ci insegna le feroci
rotte, quelle sfiorite, rese al taglio aperte,
le viscere per cui ci ha partoriti al limitar
del corpo rattrappiti . Per questo, noi
ce lo teniamo, come un amore che
non sfugge al cappio e all’amo.
(n. 22 luglio 2014)
come lo svolgersi di un’epopea. Una bella e intensa poesia che ho gradito molto
ciao, Melograno 🙂
sei sempre bella.
ml
🙂 me too